domenica 8 marzo 2015

per avere, pietosa, onorato la pietà

Ecco ridesti il mio pensiero più doloroso

il ricordo che si rinnova di lamento

tutto il destino nostro, che pesa su noi

sulla nobile stirpe di Labdaco. Orrendo quel materno talamo.

Oh amplessi di una madre sventurata con mio padre, nato da lei.

Da quale colpa fui partorita, miserabile.

Ed essi vado a raggiungere, io maledetta

io senza nozze, ad abitare con loro
.
E le tue nozze, fratello, anche a te furono infauste.

Morendo hai ucciso pure me, a te sopravvissuta
.
O Tebe, terra dei miei padri. O celesti progenitori
.
Mi trascinano senza indugiare. Guardatemi.

Guardate la figlia dei vostri re

ultima che vi restava, che cosa deve patire, e da quali uomini

per avere, pietosa, onorato la pietà

Sofocle, Antigone

domenica 3 marzo 2013

nauseerrabonde

ho immolato sull'ara della bellezza
le mie fluviali lacrime
disperso i sospiri del mio cuore
seccato il croma della mia voce
in lande desolate e sorde
seccato la mia penna ormai sterile
sul latteo foglio algido
stillato versi di commozione inani
in vuoti vasi pandoriani colmi di narcisi
dolenti elegie buone solo
per ammansire calori di tigri
resta il profondo silenzio
il malinconico canto
a cullare la mia mestizia
le mie esalanti armonie

domenica 24 febbraio 2013

MusAdorata&odorata

che poi si finisce pure
per amare la terra che hai calpestato
 le impronte che hai lasciato
quella sindone sui cuscini arrossettati
 quel fard  che sembra grafite di matita ovunque
come le tracce che verghi al mattino
sul foglio bianco della mia anima
gli addii gli arrivederci
  i vieni a prendermi
 i non ci vediamo per un pò
la roba da comprare quella da buttare
queste lenzuola così candidaMente "impure"


 di Noi


come su una mappa dal tempo macchiata
sento in rilievo  l'odore

dov'era la mia testa quando capovolta Ti leccavo
e Tu tutto m'ingoiavi
dove sono i tuoi capelli quando Ti baciavo

le fosse delle tue ginocchia quando mi cavalcavi

l'impronta unica  monolitica di quando siamo stati

intersecataMente
 disperataMente
 Noi
e ora che non ci sei
che sei uscita furtiva nella notte
lasciandomi solo nell'ora dei fantasmi
s'è scisso il noi
e non m'è rimasto nemmeno l'io
non mi laverò l'incollato dei nostri umori
sulle mie cosce
il sapore della tua fica
nella mia bocca

vorrò  assorbire la Tua Essenza
perché tu m'appartenga
senza possederti


 

lunedì 27 febbraio 2012


Esercizi di stile: manoscritto trovato in una bottiglia

Dear………

Vi raccolsi in una strada bagnata, a terra caduta, coi tacchi delle scarpe staccati, come alla strada gettata, come fiore divelto, come foglia da vento ingrato dispersa, voi nel vostro abitino di strass, coi vostri bellissimi occhi ritruccati dalle lacrime, con la vostra bocca srossettata, col vostro sguardo implorante aiuto e protezione, v’ammantai del mio abbraccio e ristorataVi, ripulito il vostro di lacrime perlato volto, che di rugiada irruppe di gratitudine, v’affidai adagiandoVi  nella carrozza, pregando il conducente di condurVi  nella vostra magione, e scorrettamente aggiunsi una mancia, perché di Voi mi fornisse l’ubicazione. Ottenutala, dopo un relativo breve ma straziante lungo tempo d’ansia,  per la sorte della vostra salute, oso chiederVi : come state fanciulla?
Altro vorrei dirVi, figlio dell’emozione che provai, e di cui ho ancora le stimmate nel mio profondo,
ma più mi preme della vostra salute, di cui vorrei (nei desideri dei miei sogni) prendermi cura…
Vostro, e vorrei molto di più che ne disponeste
Serge

martedì 14 febbraio 2012

rendez-vous...appointment...sostantivo


rendez-vous...appointment...sostantivo

Il piccolo tavolino sulla terrazza del bar ristorante che s'affacciava sul canale, era rotondo, e non vi erano spigoli a cui badare, e questo ci sembrò già bene augurante, potevamo osservare le barche che lo risalivano, e con l'immaginazione fu come se ci proiettassimo in un viaggio che da quel posto ci conducesse per mare, senza meta, senza porti sicuri d'approdo, dove avremmo potuto ridiventar sconosciuti per tutti, ma conosciuti per noi, senza gravami, senza legami con quel passato che faceva da tara e rischiava di avere dell'altro un'opinione precostituita.
Lei era splendida con i suoi lunghi capelli mossi dalla leggera brezza, che qualche volta facevano torto ai suoi occhi incantati, ma allo stesso tempo per impercettibili attimi donavano mistero, e le consentivano di batterli, tanto era impegnata ad osservarmi per non perdere anche la più piccola sfumatura delle espressioni del mio volto, che raccontavano di un'intensità febbrile e affamata nel guardarla, nel possederne e stamparla nel diaframma della mia pupilla, che ora si chiudeva aggiungendo profondità, ora si apriva stagliando il suo volto su uno sfondo diffuso come solo poteva essere rappresentata la sua grazia, così che pensai a quanto significato e fato potesse avere l'attribuzione e l'accostamento del nome che portava, a quell'immagine di prodigiosa bellezza gravata inoltre di innamoramento.
Ogni qualvolta volevamo ricondurci al tema col quale forse ci eravamo dato convegno, ovvero parlare di noi e del nostro divenire insieme, ci interrompevamo perché troppo intenso era lo slancio ideale ed affine che l'uno trasmetteva all'altro, così come il divagare di entrambi, fatto di gesti, di carezze all'apparenza caste che lasciavano su Lei chiazze di rossore denunciante, così come la carnosa bocca tormentata dal mordersi, e i fonemi suoi, tutti
spudoratamente evidentemente guidati da un'eccitazione interiore, e le mani che quando racchiuse nelle mie s'imperlavano di subitanei sudori. I nostri corpi prima collocati all'opposto del tavolo, man mano attraendosi si avvicinarono, e non era di ostacolo il cibo etnico, che intanto affluiva, da lei consigliato e garantito, retaggio mnemonico proustiano dei sui viaggi orientali, e che lei con sapienza e cura, mi consigliava come mangiare, spesso imboccandomi, qualche volta nella forma della condivisione istantanea, cosi che avanzando i nostri volti verso l'altro, le bocche culminavano poi in una miriade di baci, reiterata come quelli che si danno ai bambini. Entrambi bevevamo allo stesso bicchiere, forma di bacio sublimato o atto mancato o lapsus come si direbbe in psicoanalisi.
Un abito fasciante di seta incrociava sul suo seno di cui si intravedeva la solcatura e sbarazzino occhieggiava un reggiseno ricamato prezioso, leggero, di sommo gusto,  che permetteva ai capezzoli di spuntare in rilievo, così che i miei occhi non appena si distoglievano dal suo volto, sempre più spesso e consapevolmente vi si posavano, e quando le sue mani avvolte dalle mie unite e coi gomiti appoggiati sul tavolo, per qualche istante si staccavano, col dorso della mano capitava, ma più propriamente volevo, che quelle vette sfiorassero, ricevendone una scossa ed un'intesa condivisa e reiterata.
Non ricordo se fossimo soli, ricordo delle rondini che volando basse ci sfioravano, intessendo variazioni tersicoree e stridii gioiosi, e come benevoli, superstiziosamente li interpretammo, e che fecero da colonna sonora all'apparizione di una piccola nomade col volto intarsiato in un cesto di rose, ci rivolse uno sguardo di una dolcezza inusitata, compagno di quelli che fino a quel momento ci avevano caratterizzato, e che fu come un ulteriore regalo apposto su noi. Donai alla mia graziosa
Lady Anne la rosa bianca di York che si tramutò per l'emozione in rosa rossa di Lancaster, e per quella bambina non vi fu la torre di Londra, ma la nostra carezza riconoscente, insieme alla nostra impotenza per la sua condizione di bambina forse schiava e costretta al lavoro minorile.
I nostri sussurri incomprensibili assursero a consapevolezza della parola non detta, i gesti sembrarono consueti tanto erano condivisi, e da essi trasparì un rispetto, erede delle ferite che la nostra unione sembrava cauterizzare, ferite che come samaritani, curavamo con l'ascolto dell'altro, col non giudicare, col proseguire e col divenire. Allora capitò di guardarsi, ma soprattutto vedersi come ad entrambi non era capitato rinvenire nei nostri curriculum pregressi , i gesti partivano spontanei, soccorrevano uno smarrimento, un pensiero triste ricorrente, una gioia da condividere, un dolore che riaffiorava, una difficoltà da onorare, un futuro da promettere, un giuramento sotteso da onorare, una responsabilità che investisse anche altri, una riflessione sull'attrazione ormai
impudicamente manifesta, e che si fece azione, di mani che sapevano cosa fare, come raccogliere un volto, un bacio, percorrere un collo, omaggiare un seno, sostare in grembo, sconfinare nel pube, sentire la testimonianza viscosa di tutti gli omaggi susseguitesi, apporre la sua mano e premere la mia e tenerla nel fiore per un tempo che ci sembrò percepire come infinito, compagno del violento dolcissimo riconoscente estasio...ma che somigliava anche sorprendentemente a quando una donna sovrappone la mano del suo uomo sulla  sua pancia in dolce attesa per trasmettere energia al nascituro, per condividerne il battito, le istanze prepotenti di vita che reclama la sua evidenza....e solo un bacio prolungato quanto l'estasi, impedì che il canto di Lei s'intrecciasse con quello delle rondini, ma non impedì però ad esse di unirsi a noi per librarsi in volo e planare.....
Ce ne andammo a piedi cingendoci i fianchi, non sapemmo mai quale percorso facemmo, così impegnati a serrarci le labbra, a sprofondare nei nostri occhi, a respirarci intersecati....a..

venerdì 30 dicembre 2011

Agnitiòne
Li(e)v(e)ia
Empàtheia
parafrasi
da “Ligeia” di Edgar Allan Poe
dedicata
a
Livia
Bidoli
Sarà la
volontà a tener desto il mio ricordo e il suo divenire perché non
muoia e rigermogli dopo l’algida paralisi del tempo.
Anamnesicamente
cerco di ricollocare nella mia corteccia la prima immagine che venne
formandosi di
Li(
e sempre mi si rimanda la convinzione dubbiosa che essa abbia sempre
fatto parte di me come uniti siamesicamente in circolazione
extracorporea di cui s’intravedano e percepiscano tattilmente a
seconda della temperatura le variazioni che vanno dai suoi tanto
amati tersicorei viola purpureo ai bagliori rosso scarlatto.
Il luogo
dopo che in me, va configurandosi in un’antica villa romana che
chiamerò per praticità
Thor,
insieme vivida di luci e inquietante di tenebre, quasi scenografia
naturale e negli interni drappeggio della complessa-ambigua-solare
personalità di
Li(
ed ecco allora rammentarla nell’atto di comparire come per magia dal
“boschetto” col
Lieve nobile
ondeggiare dell’andatura cullante del sogno, coi fini capelli ora
fluenti ora caschettati ora ombrare ora rivelare ora fessurare quei
fari luminosi e chiari e inoltrandosi in essi…turchini…blu…come
quando la luminosità dei suoi abissi amati va scemando e i colori
della vita si tramutano dal saturo al nero profondo, nel buio a
sondare ciò che non siamo più, eppure concentrati nella nostra
monolitica densità, prima di fondersi.. liquefarsi… impolverire e
ricadere come nettare per impollinare sempre nuove e complesse
beltadi dal buio e dalla
“morte”
rigeneratesi
Nella
primitività temporale ed impalpabile non ebbi mai ardire
d’approfondirne una sia pur minima identità, tanto era bastante
quella che abbagliante mi si palesava e che
l’andare
verso
paralizzava.
Bastante e
inebriante era per me la
Sua
presenza tale da percepirne…
“L’Ombra
della
Sua
Ombra”..
.
che rivelava in me un
turbamento che tradiva insieme il più disperato innamoramento,
l’inimmaginabile rigidità del mio galoppante lussurioso desiderio,
della mia montante omicida gelosia, del possessivismo che m’invadeva,
della morte che avevo conferito al sonno.
Sollievo per
me rappresentavano le sublimazioni indotte dalle nostre coatte
frequentazioni dei classici, il
Bardo
in particolare, crocevia e
Virgilio
del nostro iniziatico
viaggio.
E i paragoni che andavo contrapponendo con l’altra
Liv....
già musa di
Bergm...
che m’abbagliò in una trasposizione della
Donna
del Mare
, quell‘Ellida
che poi di
Li(
sarebbe stato una passione ed una
idendeificante
reincarnazione acquatica”.
Ma fece in modo di stupire nonostante l’età e la verde esperienza, e
forse proprio per questo, di come passasse, volasse danzasse,
Lieve,
allegra, pungigliosa e leggiadra,
dalle
Smorfie agli ambigui oltraggi della
corte
di Vienna, a Regina della foresta di Arden, quella
Rosa-Linda
che dall’umida notte boschiva traeva il nettare rugiadoso rigenerante
per scivolare ancor più
Lieve
nei sofisticati passaggi ermafroditi.
E
poi del nostro instancabile discutere ed argomentare, già viatico
di un futuro che non avremmo potuto immaginare!

E venne
la notte…
.quando i compiti insiti nei
contratti, nell’età e nei ruoli inesorabilmente reclamavano le loro
scadenze, quelle dei figli diventati grandi, quelle delle
ingratitudini loro malgrado, quelle del non avere ancora appreso a
guardare oltre il
Se,
e del trascurare le energie e l’amore che insieme si sono scatenate
ricevute e sottratte.
E allora
quell’ultimo percorrere il viale alberato è per la
Diva
la passerella e la liberazione dalla dipendenza, e per il
mentore
il suo
Sunset Boulevard..…gli
occhi irrorati di pianto impotenti di
Scottie
che osservano
impressionisticamente
Madeleine giù dalla
torre della missione
.
Una
moltitudine di
Rowena
passarono… e su tutte disperatamente il demiurgo creatore
illusionista tentò d’infondere loro quanto aveva introiettato di
quell’ubriacatura di
Li(uce,
il guarire da quel lutto estetico e sensuale, da quel sfiorato e
vilmente non trattenuto concetto di perfezione e appagamento come
nella sintesi di
Scarpia:
“..darei la vita per asciugar
quel
pianto…”
E rammentare quando ospite e
adiacente una sua magione percorrevo le scale e vi soggiornavo notti
intere nella vana infantile speranza di poterla ancora
coraggiosamente
rivedere…. E anni in cui la nostalgia non fu dissimile da quella
del mio amato
Berlioz per Harriette….

Ma gli occhi
di
“Scottie”
lacrimarono ancora alla vista di
“Madeleine-Judy”
nel giorno
in cui i
Legami dalla e della Morte cessarono
e la
Sua Sinfonia
Fantastica irruppe.
da uno spartito, da
una pagina di quelle che per atto mancato si digitano…ecco
tornarmi un nome (come
le orme di Oreste
per
Elettra,
l’ombra dell’ombra di Ligeia)
che del mio
faceva un omaggio, una citazione, e con stupita curiosità mista a
timida speranza violentai i suo sparsi
profili
gotici
e andai imbattendomi nei percorsi che
Li( aveva
intrapresi e che sorprendentemente pur nell’apparente diversità
tutto a
Lei mi
riconducevano, la brillante interprete d’un tempo ora fine poetessa,
iniziatrice di linguaggi capace di imitare come
Shakespeare
faceva col
Bandello
e farne
“Otello” e
Li(
naufragare nell’infinito del
Recanatese.
La
sorprendente sensibilità ed assonanza per tutto ciò che amo, sia
essa letteratura e musica io in
Li(
ritrovo e mi riconosco come se quella
rugiada
figlia delle fluviali lacrime
m’avesse
rigenerato in
amniòs, dove ho naufragato
incognito-inconsapevole!?
ed ecco allora i
saggi e le tesi sul nostro
Baltimoriano,
tutte vissute dal di dentro
matericamente
e osmoticamente fino all’indistinguibile.
La fine
critica di spettacoli, insieme colta preparata informata e sensibile
al punto di farli rivivere attraverso lo scritto nella loro
trascinante realtà, siano essi prosa, danza, balletto o concerto,
l’instancabile creatività animatrice di un luogo dello spirito
online tutto raffinatezze, argine alla morte dell’Es, roccaforte
d’una possibile alternativa al sonno della ragione.

E quei semi
lanciati…..
.ora
l’inverno della nostra amarezza s’è cambiato in gloriosa estate a
questo sole di York….
Set down,
set down your Honourable load..
…Your
beauty was the cause of that effect;
Your
beauty, which did haunt me in my sleep
To
undertake the death of all the world,
I live one
hour so might in your sweet bosom
Natura!
Sei tu la mia unica Dea
e solo
alle tue leggi io m’inchino
volgono ora al raccolto del reincontrarsi, più
luminosamente vivido del nostro pregresso coma
la
nostra notte sfarzosa
dei
nostri anni solitari
in veli
sommersi di lacrime
ondeggianti
al ritmo della musica delle sfere
In questo
almeno mai potrò ingannarmi…
quei
grandi fulgidi occhi del mio perduto futuro
si sono
riaperti
e tutta la
natura torna ad incromarsi
*
Che le perle siano il riflesso del tuo sole

Che i raggi percepiscano ovunque il tuo volto

Nel mistero del fiore *
Li(e)v(e)ia
Sergio
Salvi
* Versi di
Livia Bidoli

L'origine du monde

L’origine du monde
(omage a Gustave Courbet)

La tua purezza discinta, ogni giorno come ninfea si apre al mio sguardo e carnivora invoca la sua vittima sacrificale, odorosa, salata perlata chiede l’omaggio delle mie labbra, l’assaporo della mia lingua. L’essere suonata dai miei chirurgici polpastrelli, e allora mi si rivela, pianta acquatica, polla inesauribile d’effluvio, accoglie la mia testa per poi podalicamente farmi rinascere, e li nell’origine del tutto Melpomene&Tersicore&Euterpe abitano, si danno convegno e intessono variazioni, li abita Mozart, li Beethoven bussa col suo destino, lì l’assetato d’arsura d’amore s’immerge per il suo ristoro, poi grato la colmo e rilascio dentro copioso, tracce della mia immortalità, che ogni volta ti vivifica e tutta ti stravolge e rinnova, tempesta d'ovuli nello spazio rarefatto di lava colante
….ancora…ancora…ancora….
riflesso variegato annegato nei tuoi smeraldi
così…..fino alla fine del tempo