The
Oval Portrait
Omaggio
a Poe
La
stanza illuminata dalle fiammelle forse candele o forse fuochi fatui,
fa chiarore su una nicchia rimossa
"dal
quaderno della mia memoria"
dalla
quale da tempo mi è precluso l’accesso, qui una o una moltitudine
di fanciulle dalla femminilità al suo primo primaverile rigoglio
sboccia al piacere prima del mio sguardo poi del mio vedere, e devo
perché la vista non m’inganni chiudere gli occhi per placare
la fantasia e far ricorso ad una maggiore serenità per dissolvere lo
stupore sognante che furtivo si va insinuando nei sensi.
La
distinzione tra un’opera dell’ingegno artistico e la realtà di
una persona vivente si intersecano per accrescerne l’ambiguità e
cancellarne i confini, e così per un tempo non stabilito, forse
infinito come sembrano infiniti gli attimi che si tentano di
prolungare e fissare, che le tante primavere esplosive di frutti mi
donarono, resto lì ad ammirare e cercare di sondare l’arcano
magico della vita che si fissa come opera d’arte ed alla quale
imploro un impossibile percorso inverso come sono vani i pensieri e i
desideri dei cammini a ritroso.
Consolatoriamente
vado a ricercarne i segni, gli oggetti, le lettere che allora fecero
da corollario e reliquiario a quegli ardori e ne leggo storie e
accadimenti tutte pervase dallo stesso identico percorso e
assimilabili a quel perseverare diabolico che possiedono le coazioni
a ripetere.
Vi
scorgo sempre fanciulle di bellezze rare e vive col destino
accumunato ai fiori quando vengono colti, l’appassirsi insieme del
loro croma e del loro profumo, immalinconite dal gobbo reclinare
dello stelo come le rose di York e Lancaster. E l’ideale unione col
loro artista mentore destinato a diventare infausta ora.
In
questo bilancio mi rappresento artista austero da sempre sposo e
congiunto più che della vita dei miei sconfinati quanto indefinibili
talenti.
Contro
fanciulle di rara bellezza insieme gioiose e belle, emananti luci
accecanti dai delicati sorrisi, amanti della vita in tutte le sue
espressioni e proprio per questo paradossalmente ostili soltanto
all’arte che nell’immortalarle le definiva laddove esse erano per
loro natura indefinibili. E ravviso lo sgomento di quando alla
cura degli strumenti corrispondeva l’altrettanto ignorarle, ancora
di più quando le volevo protagoniste, ravvisanti in ciò l’ennesima
catalogozione e successiva archiviazione, compensi per loro natura
postumi.
E
più il procedere della raffigurazione conduceva al trasferimento
della vita verso le forme d’arte, fossero esse Melpomene,
Tersicore, Euterpe o la fotografia ed altri talenti, più la salute e
il suo dileguarsi del colorito testimoniavano dell’usurpazione
del loro essere; ma ciononostante esse tutte si fissavano in un
resistente sorriso di supposto compiacimento, celante un dolore
profondo e spossante che per contro eccitava l’artista di fervido
bruciante piacere, direttamente proporzionale allo stremo e
alla debolezza di costoro. Ma ancora più ingannevole e tragico per
chi lo osservava era il risultato, di una rassomiglianza che avrebbe
potuto indurre a credere oltre che al talento dell’artista, ad un
amore profondo, solo possibile dispensatore di tante meraviglie.
E
quando l’opera era lì per essere compiuta, sembrava crescere
nell’autore l’ardore per l’imminenza del trasferimento
dell’alito vitale all’opera, e mai finiva con l’accorgersi che
ciò che ad esse toglieva e colà trasferiva, erano i segni stessi
della vita. La strenua resistenza vitale di colei e di costoro si
espresse nella forma dinamica che assumono gli esseri e le cose prima
del loro congedo, con un apparente ravvivarsi prima di
definitivamente spegnersi. E mentre ancora mi sembra di stare lì
incantato a rimirare la mia creazione, ancora non mi avvedo, che
quella vita che ho illusoriamente donata e fissata, l’ho a tante
creature sottratta.
Sergio
Salvi
p.s.
Ho amato da sempre il breve racconto di Poe, e ancor più da quando
Godard lo inserì in un suo film con l'effige di Anna Karina ,
questa mio scritto è una riflessione su me insegnante alle prese con
le creature che ho plasmato (o almeno creduto!) e l'interrogarsi
sulla "moralità" di un'attività eminentemente
maieutica, che spesso sfocia in posessività demiurga.
L' interrogarmi su questo punto lo devo in primo luogo al mio
maestro Giorgio Sstrehler, che faceva costante riferimento al
"ruolo del maestro”" e ai suoi “abusi”
Parole dense di profondo pensiero, che riflettono la tua ammirazione, fiera e generosa di senso letterale e avvolgente di forme... se non altro per quei richiami continui alla bellezza, per accentuarne quel tono che è tuo, sempre così artistico, così galante:-)
RispondiEliminaUn bacio...
*A*