sabato 19 novembre 2011

The Oval Portrait

Omaggio a Poe


La stanza illuminata dalle fiammelle forse candele o forse fuochi fatui, fa chiarore su una nicchia rimossa
"dal quaderno della mia memoria"
dalla quale da tempo mi è precluso l’accesso, qui una o una moltitudine di fanciulle dalla femminilità al suo primo primaverile rigoglio sboccia al piacere prima del mio sguardo poi del mio vedere, e devo perché la vista non m’inganni chiudere gli occhi  per placare la fantasia e far ricorso ad una maggiore serenità per dissolvere lo stupore sognante che furtivo si va insinuando nei sensi.
La distinzione tra un’opera dell’ingegno artistico e la realtà di una persona vivente si intersecano per accrescerne l’ambiguità e cancellarne i confini, e così per un tempo non stabilito, forse infinito come sembrano infiniti gli attimi che si tentano di prolungare e fissare, che le tante primavere esplosive di frutti mi donarono, resto lì ad ammirare e cercare di sondare l’arcano magico della vita che si fissa come opera d’arte ed alla quale imploro un impossibile percorso inverso come sono vani i pensieri e i desideri dei cammini a ritroso.
Consolatoriamente vado a ricercarne i segni, gli oggetti, le lettere che allora fecero da corollario e reliquiario a quegli ardori e ne leggo storie e accadimenti tutte pervase dallo stesso identico percorso e assimilabili a quel perseverare diabolico che possiedono le coazioni a ripetere.


Vi scorgo sempre fanciulle di bellezze rare e vive col destino accumunato ai fiori quando vengono colti, l’appassirsi insieme del loro croma e del loro profumo, immalinconite dal gobbo reclinare dello stelo come le rose di York e Lancaster. E l’ideale unione col loro artista mentore destinato a diventare infausta ora.
In questo bilancio mi rappresento artista austero da sempre sposo e congiunto più che della vita dei miei sconfinati quanto indefinibili talenti.
Contro fanciulle di rara bellezza insieme gioiose e belle, emananti luci accecanti dai delicati sorrisi, amanti della vita in tutte le sue espressioni e proprio per questo paradossalmente ostili soltanto all’arte che nell’immortalarle le definiva laddove esse erano per loro natura indefinibili. E ravviso lo sgomento di  quando alla cura degli strumenti corrispondeva l’altrettanto ignorarle, ancora di più quando le volevo protagoniste, ravvisanti in ciò l’ennesima catalogozione e successiva archiviazione, compensi per loro natura postumi.
E più il procedere della raffigurazione conduceva al trasferimento della vita verso le forme d’arte, fossero esse Melpomene, Tersicore, Euterpe o la fotografia ed altri talenti, più la salute e il suo dileguarsi del colorito testimoniavano  dell’usurpazione del loro essere; ma ciononostante esse tutte si fissavano in un resistente sorriso di supposto compiacimento, celante un dolore profondo e spossante che per contro eccitava l’artista di fervido bruciante piacere, direttamente proporzionale  allo stremo e alla debolezza di costoro. Ma ancora più ingannevole e tragico per chi lo osservava era il risultato, di una rassomiglianza che avrebbe potuto indurre a credere oltre che al talento dell’artista, ad un amore profondo, solo possibile dispensatore di tante meraviglie.
E quando l’opera era lì per essere compiuta, sembrava crescere nell’autore l’ardore per l’imminenza del trasferimento dell’alito vitale all’opera, e mai finiva con l’accorgersi che ciò che ad esse toglieva e colà trasferiva, erano i segni stessi della vita. La strenua resistenza vitale di colei e di costoro si espresse nella forma dinamica che assumono gli esseri e le cose prima del loro congedo, con un apparente ravvivarsi prima di definitivamente spegnersi. E mentre ancora mi sembra di stare lì incantato a rimirare la mia creazione, ancora non mi avvedo, che quella vita che ho illusoriamente donata e fissata, l’ho a tante creature sottratta.

Sergio Salvi  

p.s. Ho amato da sempre il breve racconto di Poe, e ancor più da quando Godard lo inserì in un suo film  con l'effige di Anna Karina , questa mio scritto è una riflessione su me insegnante alle prese con le creature che ho plasmato (o almeno creduto!) e l'interrogarsi  sulla  "moralità"  di un'attività eminentemente maieutica, che spesso sfocia  in posessività demiurga. L' interrogarmi su questo punto  lo devo in primo luogo al mio maestro Giorgio  Sstrehler, che faceva costante riferimento al "ruolo del maestro”" e ai suoi “abusi”